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Mercoledì 17 luglio 2024
La parola agli allevatori (parte II)
Continua l'inchiesta sulle condizioni degli allevamenti italiani e sulle loro principali problematiche. Si tratta del secondo articolo (leggi anche il primo) di una rubrica avviata qualche settimane fa da Filippo Barbagallo, giovane aspirante giornalista e allevatore con sigla “FBS”. Questa volta si è occupato del Sud Italia soffermandosi sia su temi specifici del meridione sia su temi più ampi e generali, proponendo, ancora una volta, soluzioni meritevoli alle criticità dell’allevamento.

Anche in quest’occasione, Barbagallo ha realizzato questa triplice intervista grazie al parere di tre allevatori:



Giuseppe Torrente (sigla “Sat”), proveniente dai “quarter horse” e allevatore dal 2022 con un numero di nati annuo inferiore ai 10. Già molto attivo e competente, si distingue per la grande voglia di incrementare, attraverso importanti investimenti, il livello delle proprie fattrici e delle monte utilizzate.


Angelo Scuotto (sigla “Boss”), giovane allevatore siciliano con all’attivo una media di 4/5 prodotti annui.  Prosegue con grande passione, assieme alla propria famiglia, un’attività  avviata da Angelo Fucarino (ex titolare dell’allevamento) , che vede come punte di diamante Dart Boss e The Devil Boss.


Marco d’Angelo (sigla “Gar”) affermato professionista con una produzione annua attorno ai 15 prodotti. Sulla bocca di tutti grazie al fenomeno Falco Killer Gar, ma già alla ribalta con molti altri prodotti, specie femmine, come le internazionali Delicious Gar e Don’t Say Gar, giusto per citare le più recenti.

Pensa che allevare al sud necessiti dei metodi diversi rispetto al centro e al nord Italia?
Torrente Penso che allevare voglia dire esprimere qualcosa, sognare qualcosa e far in modo che quel qualcosa si realizzi nel puledro. Ogni allevamento per me vive seguendo i propri sogni e ideali. Più che differenze fra nord, centro e sud ritengo che le differenze ci siano da allevamento ad allevamento, indipendentemente dall’ubicazione.
Scuotto Credo che ogni allevatore abbia delle sue linee guida, dunque è normale che ci siano differenze, ma anche sinergie, tra tutti gli allevamenti d’Italia e non nel solo al sud. Dal mio punto di vista, ritengo che esistano due vere chiavi per svolgere questa passione: appropriata alimentazione ed ampi spazi.
d’Angelo Al sud, specie nelle aree costiere, il clima mite ci consente di avere prati verdi anche in inverno, che permettono un arco temporale di crescita più omogeneo; di contro, nella stagione estiva, per il clima più caldo, bisogna avere molta cura nell’irrigare i prati e nel creare zone ombreggiate, fornendo ai puledri un’alimentazione adeguata alla condizione climatica.
Per sostenere e migliorare il mercato di vendita del sud crede siano necessari diversi accorgimenti o iniziative? Quali?
Torrente
Penso che le iniziative non siano mai troppe; lo sforzo di Anact, di riproporre le Aste ne è un fulgido esempio. Un limite di un allevatore del sud è la logistica: ogni anno abbiamo molti problemi con le spedizioni dei semi, con ripercussioni sugli incroci prefissati. C’è poi la distinzione tra un mercato di serie “A”, che va bene, con ottime vendite e proprietari soddisfatti, e un mercato di serie “B”, che affronta ogni anno tante difficoltà. A mio avviso, per uscire da queste criticità, bisogna prediligere la qualità.
Scuotto L’allevamento del sud è per lo più composto da medi e piccoli allevatori, che, spesso, riscontrano difficoltà sul mercato. Andare ad eventi come le aste comporterebbe spese esose, con alti rischi di veder i propri prodotti deprezzati o invenduti. Creare rassegne locali, invece, darebbe la possibilità di mettersi in mostra in modo più accessibile.
d’Angelo Per sostenere il mercato dei puledri del sud, ha già fatto molto l’ANACT con l’asta del Derby Day. Gli allevatori del sud, poi, sono in molti e hanno una produzione media di 1/3 puledri annui (in Campania nel 2023 ci sono oltre 300 nati), Per agevolarne la vendita, si potrebbe pensare ad un’asta generale Anact da tenersi nella prima decade di novembre, riservata ai cavalli da corsa, ai puledri nati da maggio in poi e alle fattrici debuttanti in razza, in modo da facilitare lo scambio tra più fasce di mercato e il ricambio generazionale.
Negli ultimi anni i prezzi delle puledre femmine sono calati rispetto ai maschi. A cosa pensa sia dovuto e come si può superare questo tipo di problema?
Torrente Personalmente, ritengo che la motivazione sia da ricercare nei fattori di forza. Si pensa che i maschi abbiano più forza fisica, più “allenabilità”. Il maschio, poi, ha 2 possibilità (prima e dopo castrazione) ed è più longevo. Poi, però, ci sono le classiche eccezioni dove quel determinato stallone raggiunge risultati migliori con le femmine.
Scuotto Il motore trainante di questo settore è la passione: ogni acquirente sogna il grande Campione, sovente ricercato nella figura del puledro maschio (nonostante le tante campionesse indigene). Chi acquista in “ottica allevamento” è in forte calo, e anche ciò diminuisce il mercato delle femmine. Potenziare il circuito “filly” potrebbe essere una chiave.
d’Angelo Penso sia dovuto al calo qualitativo di parte della produzione. Nel 2017, infatti, sono stati aboliti i parametri minimi per gli stalloni, ed ormai circa ¼ dei puledri nasce da cavalli che prima di tale anno non potevano montare. Questi prodotti sono poco appetibili per gli acquirenti, soprattutto le femmine, che non avendo una genealogia da future fattrici trascinano il mercato verso il basso.
Nella scorsa triplice intervista (rivolta agli allevatori del centro Italia), è emersa la questione del repertorio stalloni: pensa che dovrebbero essere reinseriti dei limiti?
Torrente Assolutamente si. Parametri selettivi che portino ad un’evoluzione come quella attuale, penso siano indispensabili e d’obbligo. La rigidità degli stessi, poi, va discussa e valutata su misura per noi “Italia”.
Scuotto Assolutamente sì: la forza dell’allevamento italiano è proprio la qualità dei prodotti e la ricercatezza di incroci studiati nei minimi dettagli. Tuttavia, affinchè si prosegua su questa strada, le fattrici da sole non bastano e servono stalloni che rispettino determinati requisiti.
d’Angelo I limiti vanno reinseriti, soprattutto per evitare ai nuovi allevatori il rischio di ritrovarsi con puledri ignorati dal mercato. Va sottolineata, poi, la necessità di porre fine ad una politica miope, che permette agli stalloni di correre e fare la stagione di monta assieme. Questo comporta un numero di nati risibile e ridotte possibilità di imporsi vista l’esigua produzione.
Da quali idee dovrebbe ripartire il settore dell’allevamento?
Torrente Penso che l’iva agevolata sia la prima soluzione, in quanto creerebbe una base numerica su cui lavorare. Reputo eminente, poi, la questione del ritardo dei pagamenti, perché, a mio parere, proprietari penalizzati significa proprietari disincentivati. In più, ritengo basilare riportare negli ippodromi, non solo durante i Gran Premi, le famiglie e nuovi appassionati.
Scuotto Una vera e propria ricetta non penso esista. L’ IVA al 10% sarebbe un passo fondamentale, così come creare eventi locali per aiutare gli allevatori nella vendita. Il ritardo dei pagamenti, poi, influenza molto l’allevamento e l’intera ippica. Infine, dobbiamo ricordarci che siamo un’eccellenza e tutto il settore deve essere unito nel rivendicare ciò che gli spetta.
d’Angelo Innanzitutto si dovrebbe disporre di un montepremi simile a quello dei nostri principali competitor europei: Francia e Svezia. Per ottenere ciò, l’unica via plausibile passa dalla riforma della scommessa ippica (promossa già nel 2012 dal Governo Monti), che dovrebbe rendere il gioco più intrigante allo scommettitore e generare nuove risorse.
Filippo Barbagallo
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